“Per anni ho lavorato nella compagnia tecnologica fondata da mio padre, Terremark. Si occupava di infrastrutture It, data center, cloud. Quando giravamo per le conferenze di tutto il mondo, tanti ci chiedevano: ‘Perché avete la sede a Miami?’. E ricordo quanto fosse difficile reclutare bravi ingegneri e sviluppatori: molti di loro non volevano venire a Miami perché non la vedevano come una città ricca di opportunità”. È anche per via di questa esperienza che Melissa Medina Jimenez, qualche anno dopo la cessione di Terremark al colosso Verizon, ha fondato eMerge Americas, una conferenza globale che si tiene ogni anno al Miami Beach Convention Center. L’edizione 2025 ha attirato più di 20mila persone e 4.600 aziende da oltre 60 paesi. Sono intervenuti più di 230 speaker. L’obiettivo dichiarato è favorire partnership tra l’industria tecnologica e governi, università, startup e investitori.
“La nostra attività va molto al di là della conferenza, che è il culmine di un anno di lavoro”, precisa Medina Jimenez. “Abbiamo roadshow e programmi di accelerazione per startup, non solo a Miami. Aiutiamo gli imprenditori a trovare investitori, mentori, partner. Li sosteniamo quando si tratta di far crescere la loro attività”. L’organizzazione allestisce anche competizioni per startup, masterlcass e webinar. “Due volte all’anno pubblichiamo dati sul venture capital in Florida, il nostro stato. L’obiettivo è favorire la nascita di un ecosistema tecnologico in questa zona”.
A motivare Medina Jimenez è stata anche la volontà di sostenere la sua città. “Sono figlia di genitori immigrati da Cuba e sono nata e cresciuta a Miami”, dice. “Mi considero molto fortunata ad avere avuto le opportunità che ho trovato in questo paese e in questa città. Miami è cresciuta molto negli ultimi anni e sono felice che la nostra organizzazione abbia contribuito”.
La crescita è legata anche, paradossalmente, al Covid-19. Come ha scritto Axios, che ha citato dati della Camera di Commercio degli Stati Uniti, la pandemia ha portato alla più rapida crescita di registrazioni di nuove attività economiche nella storia americana, perché ha dato agli imprenditori il tempo e le risorse – anche grazie ai fondi stanziati dal governo federale – per perseguire nuove idee. In Florida, in particolare, le registrazioni di nuove attività sono aumentate del 61% tra il 2020 e il 2021. Tra il 2020 e il 2023 anche la popolazione dello stato è aumentata del 5%.
Quando si parla di Stati Uniti e innovazione, si pensa quasi sempre alla California. Qual è il ruolo di Miami nel panorama tecnologico americano?
Al di là della Silicon Valley, ci sono tanti ecosistemi importanti nel paese. Penso a Austin, Boston, New York. E poi c’è la Florida meridionale. Ognuno di questi poli ha le sue caratteristiche. Non vogliamo trasformare Miami in una nuova Silicon Valley, ma fare leva sui nostri punti di forza. Speriamo che la Florida diventi un luogo in cui aziende di tutto il mondo possano pensare di espandersi. Ci sono capitali, talenti e potenziali partner.
Quali lezioni ha ricavato dall’edizione 2025?
Prima di tutto, abbiamo visto quali sono i settori che crescono di più. Su tutti fintech e health tech, oltre, ovviamente, all’intelligenza artificiale, che è trasversale a molte industrie. Sono in ascesa anche il settore delle tecnologie quantistiche e ‘dual-use’, cioè che possono essere usate sia per scopi civili, sia per scopi militari. Poi abbiamo avuto la prova che il nostro ecosistema è diventato davvero globale: sono sempre di più i ponti tra la nostra regione e altri continenti, inclusi paesi europei come Italia, Spagna, Francia e Ungheria. Al punto che pensiamo di realizzare anche un roadshow in Europa. E poi c’è l’America Latina, dove siamo attivi da anni con competizioni per startup e conferenze. Per noi è un’area molto importante, anche perché è vicina dal punto di vista geografico.
Com’è il mercato latino-americano?
È ricco di talento imprenditoriale e opportunità. Ci sono diversi poli tecnologici in evoluzione, che diventano sempre più forti. L’accesso a quella zona è un elemento che ci contraddistingue.
E quali sono i motori di questo mercato?
Abbiamo un roadshow in America Latina e i paesi nei quali facciamo tappa più spesso, perché sono i più floridi dal punto di vista della tecnologia e dell’innovazione, sono Messico, Colombia, Brasile, Cile e, da un paio d’anni, Ecuador. Anche i Caraibi sono una zona vivace: penso alla Repubblica Dominicana e a Porto Rico.
Il suo ruolo la rende anche una mentore per giovani imprenditori. Che cosa cerca di comunicare loro?
La cosa più importante è la sincerità. Cerco di essere trasparente sui problemi che ho incontrato nella mia carriera: è bene che i giovani sappiano che incontrare certi ostacoli è normale. Anch’io ho avuto difficoltà quando ho dovuto preparare presentazioni per gli investitori o raccogliere capitale. Mi piace raccontare la mia esperienza per aiutare coloro che si trovano in quella situazione per la prima volta.
Quale genere di cultura aziendale suggerisce loro di costruire?
Una cosa fondamentale è rendere colleghi e dipendenti partecipi della crescita dell’organizzazione. Bisogna fare in modo che le persone non abbiano paura di esprimere le loro idee, che si sentano parte dell’organizzazione, che siano soddisfatte e che amino ciò che fanno.
E come si fa?
È essenziale il dialogo. Occorre conoscere ogni dipendente e sapere che cosa lo appassiona. In questo modo si sa come motivarlo. Questa è una parte fondamentale della cultura di eMerge Americas.
Quali sono un successo e un errore che l’hanno segnata?
Ho avuto molti successi, ma senza dubbio più fallimenti. La cosa di cui vado più fiera è che abbiamo avuto il coraggio di sognare in grande. Non abbiamo mai pensato di allestire una piccola conferenza: abbiamo sempre voluto mettere in piedi un’organizzazione globale. Per quanto riguarda gli errori, all’inizio ne abbiamo fatti tantissimi, sotto tutti gli aspetti: abbiamo sbagliato a scegliere fornitori, sedi, abbiamo speso troppo. Queste difficoltà, però, ci hanno obbligati a tirare fuori tutte le nostre risorse. Se abbiamo ottenuto successi, è grazie a tutte le volte che siamo andati a sbattere contro un muro.
Lei è una donna che lavora nella tecnologia. Secondo lei a che punto è il processo verso la parità di genere nel settore?
Negli ultimi decenni ci sono stati grandi passi avanti, ma i dati dimostrano che le donne sono ancora una piccola parte dei fondatori. Cerchiamo di fare la nostra parte garantendo opportunità ai fondatori che appartengono a gruppi meno rappresentati. Per esempio, organizziamo una gara di pitch per startup riservata alle donne e facciamo in modo che startup al femminile entrino nel nostro acceleratore. Facciamo lo stesso per i fondatori che fanno parte di minoranze etniche e per i veterani. Nel nostro acceleratore ci sono tante aziende create da membri di gruppi sottorappresentati. A titolo personale, cerco anche di raccontare la mia storia di imprenditrice e fondatrice donna, per quanto non ami soffermarmi troppo sulla questione del genere.
Come si fa a spingere più ragazze ad avvicinarsi alle materie Stem?
Una soluzione è promuovere programmi appositi. Negli Stati Uniti, per esempio, è nata Girls Who Code, un’organizzazione internazionale che lavora per aumentare il numero di donne nell’informatica. Sarebbe utile anche avviare progetti per far appassionare le ragazze alla materia già a scuola. Poi molto dipende dal contesto in cui si cresce. Io ho avuto la fortuna di vivere in una famiglia in cui tutti mi hanno sempre fatto capire che avrei potuto fare le stesse cose dei ragazzi.
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