Le lezioni, i lavori di gruppo, i meeting di lavoro e persino le attività sociali del tempo libero ora si svolgono nei nostri telefoni e computer, utilizzando la videoconferenza e le riunioni a distanza. Molti di noi ora trascorrono la maggior parte delle loro giornate in riunioni online ospitate attraverso piattaforme che facilitano la videoconferenza, come Zoom, Hangouts o Microsoft Teams. “Sappiamo tutti che il lavoro non sarà mai lo stesso”, ha affermato il co-fondatore e ceo di Slack Stewart Butterfield, “anche se non conosciamo ancora tutti i modi in cui sarà diverso”. Una simile esperienza, come avevamo già discusso in “Luci e ombre del lavoro da remoto”, può infatti portare effetti inaspettati: stanchezza estrema entro la fine della giornata.
L’espressione “Zoom fatigue” – o affaticamento da Zoom – ha guadagnato questo nome a causa della popolarità di Zoom, ma descrive l’esaurimento che molte persone provano dopo una giornata piena di “attività video”, qualunque sia la piattaforma che stanno utilizzando, comprese quelle specifiche che insegnanti e usano gli studenti. Se non trascorriamo più tempo in riunioni virtuali o lezioni rispetto a prima, cosa giustifica che il “semplice” fatto che non teniamo queste riunioni di persona possa avere un impatto così grande sul nostro benessere?
Tammy Sun, la quintessenza dell’imprenditore tecnologico della Silicon Valley, ha recentemente lanciato un tweet insolitamente low-tech. “L’affaticamento da Zoom mi fa desiderare una linea fissa e un telefono vecchio stile”, ha scritto il fondatore e ceo di Carrot, una startup che fornisce piani di benefici per la fertilità per le aziende.
È stato però soprattutto un team di studiosi della Stanford University a dedicarsi al problema. Jeremy Bailenson, infatti, direttore del Virtual Human Interaction Lab della Stanford University, e i suoi colleghi stanno conducendo uno dei primi studi sulla fatica da Zoom. In un articolo su Wall Street Journal, Bailenson spiega che l’affaticamento da Zoom può derivare dall’interruzione dei modi di comunicare che gli umani hanno sviluppato per facilitare la loro sopravvivenza.
In particolare, afferma: “Ci siamo evoluti per ottenere un significato da un colpo d’occhio, Zoom ti soffoca con segnali e non sono sincroni”. Questi segnali asincroni, che non ci permettono di dedurre il significato, sovraccaricano il nostro sistema cognitivo, con conseguente esaurimento.
Negli ultimi 20 anni, Bailenson ha studiato persone che comunicano virtualmente e le conoscenze che ha acquisito lo portano a credere che piattaforme come Zoom, e in generali le riunioni con modalità a distanza, causino un sovraccarico di segnali non verbali. Ad esempio, gli sguardi lunghi e la vicinanza del viso che prima si verificavano solo nelle relazioni strette sono ora una costante in tutte le videochiamate.
In uno studio precedente, condotto a Stanford, Bailenson ha utilizzato aule virtuali per studiare le conseguenze di questo sguardo fisso e costante. Per alcuni studenti, lo sguardo dell’insegnante si è spostato da studente a studente, come accade nelle aule reali. Per gli altri studenti, lo sguardo dell’insegnante è stato costante e fisso su di loro durante tutta la lezione. Gli studenti che si sono sentiti più osservati dall’insegnante sono stati più produttivi degli altri, ma hanno riferito di sentirsi esausti e a disagio dopo la lezione.
Come in questo esperimento, l’uso di piattaforme di videoconferenza in riunioni a distanza per insegnare a scuola potrebbe avere il vantaggio di aumentare l’attenzione, ma potrebbe anche comportare i costi di un rapido esaurimento e della fatica fatta.
In un articolo del Los Angeles Times, Daniel Willingham, professore di psicologia all’Università della Virginia, ha anche sollevato preoccupazioni simili sull’uso della videoconferenza specificamente per le classi. Willingham, a proposito dei rischi delle lezioni online, menziona l’interruzione del contatto visivo, un segnale importante nella conversazione, “perché il ritardo di Internet interrompe i loro tempi e perché le apparecchiature informatiche rendono difficile il contatto visivo”. Ancora più importante del contatto visivo è l’uso di gesti che aiutano gli studenti ad apprendere, ma sono assenti nelle videoconferenze. Ad esempio, gli istruttori possono usare gesti, come indicare, quando vogliono dimostrare o richiamare l’attenzione su qualcosa. Il fatto che studenti e insegnanti non condividano lo stesso spazio fisico durante una lezione visiva lo rende estremamente difficile.
H Locke, direttore della User Experience (UX) presso l’agenzia di marketing Ogilvy, ha scritto un articolo che esplora l’impatto dell’uso costante di Zoom e piattaforme simili su persone, riunioni e ricerca. Locke suggerisce che l’uso delle videochiamate crea un’esperienza psicologica completamente diversa da quella a cui eravamo abituati, che avrà un impatto sulle emozioni e sul comportamento. Alcuni dei motivi di queste differenze hanno a che fare con le caratteristiche uniche della videoconferenza:
Il Viewpoint Research Team ha anche scritto un post in cui spiega le cause dell’affaticamento da Zoom. Suggeriscono che la teoria dell’autoregolazione di Bandura (1991) possa fornire una spiegazione plausibile. Secondo questa teoria, tendiamo a monitorare, regolare e adattare i nostri comportamenti per raggiungere determinati obiettivi. Durante la videoconferenza, oltre alla difficoltà a leggere gli spunti forniti dagli altri, siamo anche costantemente esposti a un video di noi stessi, che potrebbe farci voler regolare comportamenti (o immagini) non rilevanti per l’incontro. Questo sforzo in più per regolare i comportamenti, oltre al fatto che ci si sente costantemente osservati, può contribuire all’aumento della fatica.
Manyu Jiang, della Bbc, ha intervistato Gianpiero Petriglieri, professore alla Insead che studia apprendimento e sviluppo sul posto di lavoro, e Marissa Shuffler, professoressa alla Clemson University, che studia benessere ed efficienza nei gruppi di lavoro. Jiang ha ottenuto risposte simili a quelle che abbiamo già esaminato. “Immagina di andare in un bar e nello stesso bar parli con i tuoi professori, incontri i tuoi genitori o esci con qualcuno, non è strano? Questo è quello che stiamo facendo ora”, ha dichiarato Petriglieri.
Petriglieri ha rafforzato il fatto che le differenze nei modelli di comunicazione possono portare all’esaurimento e ha fornito l’esempio dei silenzi che sono normali e addirittura facilitano una conversazione faccia a faccia e che, invece, che diventa fonte di ansia in una videoconferenza. Ha anche menzionato come le limitazioni contestuali possono causare alcune stranezze: usare la videoconferenza per tutte le nostre interazioni è praticamente come andare in un bar e imbattersi in insegnanti, studenti, colleghi, familiari e amici, il che sarebbe strano e forse una causa di ansia.
Locke, o Viewpoint Research Team, Petriglieri e Shuffler presentano alcuni suggerimenti per ridurre al minimo l’affaticamento da Zoom:
Per ulteriori approfondimenti, sul sito di The Office Society si possono trovare altri contenuti su queste tematiche.
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