Come accettare un fallimento, rialzarsi e continuare ad innovare? La risposta, utile alle aziende non solo del settore dell’intrattenimento, può essere fornita dalla storia recente di Nintendo, conosciuta soprattutto come una compagnia giapponese che produce videogiochi, tra cui l’iconico Super Mario. Pochi sanno che Nintendo esiste dal 1889, inizialmente produceva carte da gioco. Sa cosa vuol dire trasformarsi e lo fece alla fine degli anni ’70 quando entrò nel nascente mercato dei videogiochi.
Il 2012 però ha segnato l’inizio di un periodo alquanto duro, è stato il primo in perdita dopo 30 anni a causa delle vendite della console Wii in declino e deludenti per la portatile 3DS. Tutti speravano in Wii U, che fu poi lanciata a fine 2012. Come andò? Male. Se dal 2007 Wii è stata un successo, arrivando a piazzare nelle case degli utenti più di 100 milioni di console, non è stato lo stesso per Wii U, il successore che prevedeva una sorta di tablet come controller ma da poter usare solo in casa. Sono stati 13,56 i milioni di pezzi venduti in 5 anni, un numero esiguo. Wii U ha sicuramente pagato il successo di Wii, ma è innegabile che aveva dei gravi errori di progettazione.
Non in pochi volevano le dimissioni del presidente di Nintendo di allora, Satoru Iwata, scomparso nel 2015, o addirittura un ritiro dal mercato dell’hardware come fece anni prima Sega, per concentrarsi sul software. “Nintendo è in crisi” soprattutto creativa, si leggeva ovunque nel periodo Wii U, ma è successo anche in passato quando la compagnia giapponese incappava in un flop commerciale. Sono state proprio le intuizioni del compianto Iwata a plasmare la Nintendo del 2017: suoi i primi sketch di giocattoli smart che possono connettersi con i giochi Nintendo, gli Amiibo, che hanno venduto milioni i pezzi in tutto il mondo grazie alle potenti proprietà intellettuali della casa giapponese. Suo il sì, dopo anni di rifiuto, verso l’accordo con DeNA per la pubblicazione di giochi su Android e iOS tra cui Super Mario Run. Sua anche la supervisione su Nintendo Switch, la console ibrida che può essere fruita sia in casa che outdoor.
Oggi Nintendo è al primo posto tra le 500 compagnie più ricche del Giappone nella classifica stilata da Tokyo Keizai (Sony è solo al quarto posto), in vetta con 946 miliardi di Yen di riserva di liquidità netta, circa 8,4 miliardi di dollari. E’ quindi una società molto solida dal punto di vista finanziario, non solo grazie ai successi recenti. Ma come è riuscita a risollevarsi? Tutto questo non sta accadendo per caso, ma grazie a precise scelte di business che hanno portato l’azienda giapponese a risalire la china nel 2017 dopo anni disastrosi e una console casalinga che non ne voleva sapere di crescere in vendite e supporto di terze parti. Le vendite di Nintendo Switch, presente sul mercato solo da marzo 2017, hanno superato le aspettative anche della stessa società e il supporto di sviluppatori e produttori di terze parti cresce esponenzialmente.
Nintendo per il periodo fiscale degli ultimi 6 mesi, conclusosi il 30 settembre, ha registrato ricavi dalle vendite, al cambio, per 3 miliardi di euro: nello stesso periodo dello scorso anno fiscale i ricavi dalle vendite sono stati circa di 1 miliardo di euro, ma chiaramente Nintendo Switch non era ancora sul mercato. Sono aumentati i profitti, le Switch piazzate nelle case e nelle mani degli utenti ammontano a 7,63 milioni, il software si attesta a 27,5 milioni ed il 2018 è visto come un anno in crescita.
Nintendo però sta fondamentalmente vincendo una sfida contro sé stessa: è un’azienda con una fortissima tradizione alle spalle, ma ha deciso, ancora una volta, di attuare una trasformazione. Sono queste le tre leve su cui ha puntato:
Questo momento felice per Nintendo potrà continuare solo con il continuo rilascio di prodotti esclusivi e di qualità per Switch, ma anche con tutte le attività di contorno (giochi per smartphone, Amiibo). Poi sarà la volta di un probabile Nintendo 64 mini, ancora non annunciato ufficialmente: impossibile che la casa giapponese non prosegua su questa scia visto l’enorme fame che hanno i consumatori (non solo di videogiochi) di tutto ciò che è nostalgia.